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FRANCO PIANEGONDA: IL SIGNORE DEGLI ARGENTI

E’ un mito della gioielleria internazionale. Innamorato di Vicenza e della sua tradizione orafa, a 52 anni ha l’entusiasmo di un ragazzo che vuole ancora conquistare il mondo. Con una ricetta speciale.
Ve la racconto in esclusiva…

(READ THE ENGLISH VERSION)

Franco, ci conosciamo da una vita ma non mi hai mai realmente raccontato di te

“Sono nato vicino Padova nel ’68.”

Ah… sei come Andrea Palladio, anche lui padovano ma vicentino d’adozione.

“Ehi si (ride)… ma dai, non esageriamo! Comunque per capire in che misura la vicentinità ha segnato la mia vita e quale originale mescola di destini si è fusa in me devo fare un breve excursus genealogico. Mio nonno era nato a Valli del Pasubio, perchè suo padre, stimato naturopata austriaco, veniva chiamato dalle famiglie venete per curare con piante ed erbe.
Per farsi strada nella vita autonomamente decise di emigrare in Australia.
Tornato in patria con il gruzzoletto guadagnato tagliando canna da zucchero e a rischio della vita (l’Australia di allora non era quella supercivilizzata che oggi conosciamo), decise che il posto giusto dove fermarsi era un paesino della padovana, “Campodoro“… Un nome che evidentemente fu un destino scritto nelle stelle per me. Con mia nonna ebbe 6 figli di cui uno solo maschio, mio padre.”

“Campodoro”, un nome e un destino per Franco Pianegonda.


“Una delle sue sorelle si era trasferita in Germania e lavorava in un hotel, lo stesso dove andò anche una bellissima ragazza spagnola. Mio padre, che era andato lì a trovare la sorella, casualmente la conobbe. Fu amore a prima vista e si trasferirono a Campodoro. Un salto nel buio per una ragazza straniera, dal carattere brillante, con tanta voglia di vivere e divertirsi. Un abisso considerato lo stile di vita del Veneto campagnolo di qualche decennio fa. Ma alla fine la sua carica di positività ebbe la meglio e qui inizia la mia storia. Nasciamo io e mia sorella. Io nel ’68, un anno per nulla uguale agli altri…
Inizio il mio percorso scolastico a Padova con un indirizzo, quello di perito elettronico, e subito capisco che non sarebbe stata quella la mia strada. Io avevo bisogno di socializzare, non di isolarmi a fare calcoli tecnici. Decido quindi di affiancare l’attività scolastica con qualche lavoretto part time. E qui torna Vicenza nel mio destino perchè inizio a lavorare in una delle boutiques più famose e trendy dell’epoca, la mitica Bottega Pazza gestita dall’altrettanto mitico personaggio vicentino, Saverio Miazzo (per gli amici “batterista poco serio” NDR).”

Franco Pianegonda con Saverio Miazzo davanti alla mitica boutique vicentina “Bottega Pazza”

Caspita! La prima boutique di Vicenza… un mito anche per me.
Ne deduco che hai potuto entrare in contatto con le mode inglesi del periodo e i primi marchi di jeans made in Italy, di cui la Bottega Pazza era ambasciatore riconosciuto.

“Esatto, proprio così… ed è stato un colpo di fulmine. La moda, lo stile, le tendenze erano un mondo a me familiare e congenito. Anche se ero un ragazzino con Saverio si era creato un ottimo rapporto. Eravamo un team. Mi portava a Milano a fare gli acquisti e mi delegava molte attività anche di una certa responsabilità, perchè lui era, ed è rimasto, fondamentalmente un artista genialoide.
Sono stati anni letteralmente fantastici per me e per un’intera generazione di vicentini, specie per chi, ed in quel periodo erano tanti, lavorava con successo nel “campo dell’oro”. Decisi quindi di provarci anch’io. All’inizio come venditore, ovviamente. Da buon veneto anche per me la parola d’ordine era “prima i schei”.

In effetti quello che può apparire un atteggiamento materialista, in realtà è l’aspetto più importante per qualsiasi attività imprenditoriale. Anche se l’idea o il prodotto sono eccellenti, se non si vende si chiude. E di bravi venditori ce ne sono pochi.

“Esatto! Vendere è fondamentale. E a me riusciva molto bene, al punto che a 26/27 anni potevo definirmi economicamente arrivato. Però c’era un aspetto del mio lavoro che andava in contrasto con la mia visione delle cose e della vita, in particolare con il mondo della donna. Non ero soddisfatto di ciò che vendevo. Mi rendevo conto che proponevo, inconsapevolmente, gioielli frutto di una visione “maschilista”, tipica di tutto il comparto orafo vicentino, ma anche italiano ed internazionale, dalla notte dei tempi.
Da sempre i gioielli sono qualcosa che viene prodotto da uomini per essere poi comprato da uomini che alla fine li regalano alle donne.
In questa catena il ruolo della donna, pur essendo l’anello finale e più importante del processo, è paradossalmente marginale perchè sono sempre gli uomini, che detengono il potere economico, a decidere e a valutare, quasi sempre in termini di valore economico dell’oggetto. Per loro è naturale farlo senza preoccuparsi minimamente degli aspetti legati alla sensibilità femminile, al bisogno di emozioni di ogni donna e allo stile con cui un gioiello deve poi inevitabilmente sposarsi quando viene indossato. Io che avevo avuto modo di conoscere il mondo della moda avevo colto questa grande differenza. Lì infatti le collezioni femminili nascono pensate per la donna, create spesso da donne o comunque da stilisti dotati di grande sensibilità. Nulla è lasciato al caso in quanto a rispetto delle esigenze femminili e tantomeno si valuta una creazione per il suo peso, come nel caso dei gioielli.
E così avveniva, e tuttora avviene, che una donna esca da una boutique vestita da dea, con dei gioielli addosso totalmente inappropriati, che dicono solo quanti soldi ha il marito… Di fatto alla fine questi gioielli non vengono più realmente indossati, ma finiscono dapprima in banca e poi spesso diventano materia di contesa in sede di separazione…”

Bellissima e interessante questa analisi del mercato della gioielleria. Lo conosco bene, ma nessuno mi aveva fatto notare questo “corto circuito” concettuale.

“Ricordo benissimo le argomentazioni che determinavano la vendita. Era inutile che io parlassi ai mariti delle esigenze estetiche ed emozionali delle loro mogli, della flessuosità e dell’originalità dei modelli… con loro bastava che parlassi del valore in grammi, di quante pietre preziose c’erano e della sicura valenza di investimento. Ed era fatta.
Però dopo i primi successi commerciali questo giochino iniziava a non piacermi più. Troppo facile e poco incline alla mia personalità. Io ero figlio del ’68, una generazione rivoluzionaria e intellettuale. Iniziavo a percepire chiaramente che stavamo passando da un’era dominata dalla meccanica ad una delle idee. E queste a me non mancavano. Così come a te… Nel tuo studio, dove stiamo raccontandoci, si respira creatività.”

Un gioiello d’autore firmato Franco Pianegonda

Grazie, concordo. Anche per me le idee sono la vera materia prima dei nostri tempi. E quindi cos’hai fatto per uscire dalla gabbia dorata che ti eri costruito professionalmente?

“Mi sono reso conto che passando in questa nuova fase storica, alla donna non potevano più essere negate le opportunità di crearsi un’indipendenza economica e che quindi poteva finalmente essere protagonista delle sue scelte, a partire da quelle legate alle esigenze estetiche ed emozionali, come i gioielli. Questo cambiava i paradigmi millenari del mio settore. Per la prima volta la donna non aveva più necessariamente bisogno di un uomo per concedersi il lusso di un gioiello. E anche da parte degli uomini si iniziava a percepire una maggiore sensibilità. Ed è a questo punto che decido di entrare in gioco non più come pedina commerciale di aziende altrui, ma come vero e proprio stilista e creatore di gioielli pensati innanzitutto per la donna e le sue esigenze. A differenza di tutti gli operatori del comparto per me al primo posto bisognava mettere creatività, eleganza, raffinatezza, amore, sensualità e persino erotismo… ovvero mi sono sintonizzato pienamente con l’universo femminile. In questo senso si spiega anche la mia scelta di focalizzarmi sull’argento.”

Giusto… l’argento è il metallo che in astrologia si associa alla Luna, che a sua volta simboleggia l’universo femminile… ci sta.

“Non solo… a differenza dell’oro l’argento consente di realizzare oggetti importanti ma non esageratamente costosi rendendoli accessibili anche alle donne non ancora professionalmente arrivate. A suo tempo questa mia scelta fu snobbata dall’establishment del settore, per poi essere sdoganata pienamente anche per effetto delle varie crisi economiche internazionali.
Ancora oggi l’80% della mia produzione è fatta in argento mentre molti produttori di nome sono addirittura passati oggi a leghe di bassissimo livello, come l’acciaio ad esempio, cercando di farle percepire come preziose. Ma in uno scenario come quello attuale, appesantito drammaticamete dall’emergenza Covid 19, tutti tendono ad acquistare con attenzione. La gente si rende conto di aver sprecato denaro in passato su cianfrusaglie di dubbio valore e per questo l’argento appare ancora più un metallo nobile. La differenza tra un vero gioiello ed un bel bijoux sta nel poter essere inseriti in quello che io definisco “scrigno” che le donne custodiscono gelosamente e si passano di madre in figlia. Non c’è spazio per la bigiotteria lì.”

La top model Gisele Bündchen indossa una creazione di Franco Pianegonda

E come si è innestato questo processo a suo modo storico nel tessuto orafo vicentino?

“Devo dire che Vicenza ha sempre lavorato mantenendo fermo questo principio. Difficile trovare aziende che hanno abbandonato i metalli nobili per passare alle leghe di basso livello. E’ rimasta una delle nostre eccellenze. A Vicenza c’è una tradizione orafa importantissima che risale al 1400. Fa parte del nostro DNA creare oggetti destinati ad essere tramandati di generazione in generazione. Una tradizione che dovremmo riscorpire e rilanciare soprattutto in chiave internazionale. In un mondo dove tutto è sempre più standardizzato e prodotto in serie, la sapienza manifatturiera vicentina in fatto di metallo nobile è un punto di forza straordinario. Ce lo invidiano gli operatori di tutto il mondo, ma Vicenza non sa comunicarlo ai consumatori internazionali. Chi ha un passato nobile come il nostro, da Palladio alla Repubblica Veneziana, alla cultura umanistica, dovrebbe sfruttarlo meglio per arricchire il presente. Noi come comparto vicentino dovremmo riscrivere il futuro basandoci proprio su questa storicità che pochissimi al mondo possono vantare.”

E cosa si dovrebbe fare secondo te? A mio avviso servirebbe una regia, se no ogni azione diventa fine a se stessa o casuale…

“Non c’è una regia perchè siamo italiani e ci portiamo dietro ancora l’atavico motto “divide et impera” degli antichi Romani. La divisione determina debolezza, mentre al contrario l’unione notoriamente fa la forza. Ma nel mondo moderno questo modello non dovrebbe più esistere. Siamo un crogiulo di culture e conoscenze che andrebbero sapientemente mescolate e condivise. Anzichè “imperare” sugli altri, bisogna “imparare” dagli altri, e viceversa.”

Franco Pianegonda, ritratto

Quindi tu ti senti figlio della tradizione orafa vicentina e suo moderno ambasciatore…

“Sono nato a “Campodoro”… evidentemente sono entrato in questo settore per “chiamata divina”. Certo è un compito delicato da svolgere ad alto livello. Dalle nostre parti tutti abbiamo qualche persona vicina che ha a che fare, o ha avuto a che fare, con l’oreficeria, per cui si è sviluppata una competenza collettiva, ormai entrata nel nostro DNA, che è un severo giudice con cui avere a che fare.
Quando parli con un ex orafo (perchè ahimè negli anni molti hanno dovuto ridimensionarsi o a ddritittura chiudere) anche se solo un operaio da banco è come avere davanti un ex calciatore che ti racconta, quasi con le lacrime di emozione, dei suoi ricordi sul campo da gioco… Così nitidi che vortrebbe tornare subito in campo, altro che pensione…
Qui, Maurizio, c’è una competenza che fa paura e che non conosce eguali al mondo. Andrebbe tutelata come fa il WWF con le specie a rischio estinzione. Chi fa un gioiello è una persona speciale… sa che lo fa per chi deve fare un regalo ad una persona speciale o farsi un regalo. Dietro ogni gioiello c’è un atto d’amore, o di felicità grande o piccolo che sia. Per capire cosa intendo basta pensare ad un operaio della Beretta di Brescia, giusto per fare un esempio eclatante. Sapere che sta creando un’arma è ben diverso dal sapere che sta creando una futura gioia.
(Non a caso la parola “gioia” è sinonimo di gioiello. NDR)
Io, quando faccio un gioiello, so che renderò felice qualcuno. E questa è una motivazione straordinaria quando si lavora. Pochi settori al mondo regalano questa opportunità. Che sia uno che salda, o che pulisce, o che lustra, tutti sanno che alla fine il loro lavoro accenderà gli occhi di qualcuno.”

Ivana Trump indossa un gioiello creato da Franco Pianegonda

Fantastica osservazione… Ma siamo onesti, Vicenza non è più la capitale mondiale dell’Oro… La Fiera non è più “vicentina”, le grandi aziende sono scomparse ed in questo contesto tu sei un “highlander”.
Cos’è successo negli ultimi 20 anni? Secondo te qual è stato l’errore principale che ha fatto perdere a Vicenza questo asset strategico?

“No, non c’è niente di sbagliato. Penso semplicemente che siano gli effetti di questo mondo che cambia. Stiamo vivendo la più grande rivoluzione dopo quella industriale che aveva portato la gente dai campi alle fabbriche. Non era colpa di qualcuno se l’agricoltura non rendeva più ed è convenuto ad intere generazioni scegliere di andare in fabbrica. Oggi è uguale. Alcune attività non convengono più e quindi è normale che i giovani scelgano altre strade professionali. Ma così come alcuni hanno continuato a fare agricoltura, migliorandone le tecniche e l’approccio lavorativo, la stessa cosa sta avvenendo nel settore orafo vicentino. Chi resta è migliore di chi ha mollato e ne conquisterà le posizioni.
Il mondo digitale è quello che oggi guida il cambiamento. Il che, metaforicamente, vuol dire agire con i muscoli, ma ben guidati dal cervello.”

Quindi nutri ancora delle speranze per l’oreficeria vicentina?

“Certo! Io penso che non sia troppo tardi. Le maestranze esperte ci sono ancora. La sapienza stilistica c’è. Bisogna solo attivare un circolo virtuoso e fare squadra per riprenderci la leadership. E’ fattibilissimo perchè oggi questa leadership non è “di qualcuno”… è vacante… Non c’è un posto al mondo che abbia la stessa tradizione secolare, la capacità produttiva e il gusto per il bello che è insito in Vicenza. Non possono farlo gli indiani perchè nessuno compra un gioiello Made in India. Idem per il Giappone o la Cina. Noi abbia questa grande fortuna, che è anche il nostro limite, di essere nel paese più bello del mondo per cui forse questa leadership del settore potrebbero prenderla ad esempio i fiorentini o i milanesi, i romani, i napoletani, ma la vedo difficile che possa farlo Londra.
Potrebbe farlo Parigi, dove c’è una tradizione altrettanto secolare, dove sono nati alcuni dei più importanti marchi della gioielleria mondiale e dove sono maestri anche nell’uso delle parole, dei contenuti e del marketing.
I Francesi, quando vogliono, sono capaci di presentarsi bene come pochi. Basta pensare alla differenza di percezione tra Champagne e Fraciacorta…”

Una creazione di Franco Pianegonda indossata da modella

Vero… eclatante il caso dei Castelli della Loira, una delle mete turistiche più ambite al mondo per effetto di una strategia di consorzio, messa a punto decenni fa, che ha fatto scuola. Da noi le Ville Venete, che non sono per nulla da meno, anzi, sono penalizzate da una frammentazione di iniziative, ciascuna del singolo proprietario, per cui di fatto i tour operators internazionali non le possono inserire neanche volendo nei loro pacchetti turistici.

“Esatto… però la partita non è chiusa, dal momento che Parigi non ha in effetti ancora la leadership del gioiello. Potrebbe ambire, ma i giochi non sono ancora fatti e Vicenza oggi dovrebbe accelerare. C’è un’intera meravigliosa regione dietro, il Veneto e soprattutto Venezia, con un fascino che potrebbe contribuire ad attrarre gli operatori internazionali al pari di Parigi e anche di più.”

Verissimo, però a mio avviso Vicenza in questo preciso momento storico avrà forse ancora conservato la capacità produttiva, ma non ha la “mente”. E non l’ha mai avuta secondo me. E’ questo il suo limite. Grande capacità realizzativa, ma poca visione. Il motto del vicentino tipo è “testa bassa e lavorare”… ma con la testa bassa non si vede l’orizzonte. Non vedo stilisti, non vedo creatività innovativa, non vedo genialità… tu sei, come dicevo, un highlander… tu arrivi da quella cultura, da quel periodo che per tua fortuna hai vissuto da giovane e del quale hai saputo prendere il meglio per poi, con coraggio, prenderne le distanze al momento opportuno e rinnovarti totalmente.

“E’ questo il punto… una volta andava bene ed era giusto così. Oggi non basta più saper produrre… bisogna avere la capacità di sintetizzare in un gioiello, e questo non è un lavoro di fabbrica bene inteso, tutta una serie di valenze che non sono più solo “un tanto al grammo”. Bisogna intercettare e capire la consumatrice, perchè ripeto è la donna il fulcro, e addirittura prevedere quello che lei potrà apprezzare e desiderare in futuro… beh credimi, non ce ne sono tanti al mondo che sanno farlo. Io ci sono arrivato grazie ad un percorso professionale praticamente irripetibile.”

Franco Pianegonda seleziona le pietre preziose per i suoi gioielli

Quindi cosa dovrebbe fare Vicenza per entrare in questo modello mentale prima che produttivo?

“Guarda, ci sono delle menti eccelse, non necessariamente del settore orafo. Figure che andrebbero coinvolte attorno ad un tavolo di lavoro con le istituzioni. Ma un tavolo che sia sgombro dalle logiche passate dove disegnare una strategia precisa e che sappia andare a procurarsi le risorse necessarie alla sua messa in atto. Senza investimenti non si può fare. Ma attenzione, non investimenti in “tecnologia”, se non lo stetto necessario per stare al passo con i tempi. Ma in cervelli. Servono persone che abbiano la capacità di dire in anticipo cosa succederà e come muoversi al meglio Le mega aziende che non hanno bisogno di cervelli sono tutte in Asia. Grandi capacità produttive ma di livello medio basso e standardizzato. Noi non possiamo e non dobbiamo competere con loro. Dobbiamo volare più alto.”

Concordo… mi viene in mente un caso che dovrebbe essere preso a modello ogni qualvolta ci sia una crisi di un comparto. Mi riferisco alla Svizzera, un tempo indiscussa leader nella produzione di orologi meccanici noti per la loro precisione. Agli inizi degli anni ’80 la sua leadership fu messa in crisi dai primi orologi digitali giapponesi, persino più precisi, ma infinitamente più economici. Un’intera nazione rischiava il tracollo. Si decise di quindi di reagire e fu dato incarico, con budget importante, ad un solo uomo: Nicolas Hayek. Questi capì che per l’orologeria svizzera la battaglia non poteva più essere combattuta sulla precisione, nè sul valore in termini di preziosità. La mossa vincente fu quella di produrre orologi digitali di basso costo, ma con un “quid” in più: la creatività e lo stile. Nacque così il fenomeno Swatch che non solo arginò l’invasione giapponese, ma creò un brand mondiale capace di rilanciare, per induzione, anche l’orologeria svizzera di alto livello.

“Bravo! Esattamente questo intendevo. Oggi siamo alla stregua di quel momento storico, ma a differenza degli svizzeri che sono un popolo ordinato e coordinato, noi siamo tendenzialmente individualisti.
Quindi serve un’aggregazione di soggetti di settore che mettano a disposizione cisacuno un budget e questo budget lo gestisce qualcuno ceh ha una visione. Solo così si può sperare di far tornare Vicenza capitale mondiale dell’oro. Non dimentichiamoci che qui c’erano due fiere l’anno che portavano un indotto da paura per il territorio. Ne beneficiavano tutti. Oggi tutto questo è solo un timido ricordo, ma potrebbe tranquillamente tornare in auge perchè a livello internazionale non c’è praticamente nessun competitor. Però VicenzaOro dovrebbe essere reinventata totalmente.”

Franco PIanegonda con il rapper Julio che indossa una sua collana

Quindi la tua ricetta è riappropriarsi delle radici manufatturiere storiche per portarle in bella copia, ammodernate, e riproporre Vicenza quale capitale mondiale del gioiello.

“Esatto… se io sono di Roma e ho dei “ruderi” qua e là, non devo fare altro che scavare, pulire e dare lustro al resto ancora sepolto. E ci faccio la “Gardaland” a tema. Non ci vuole un genio per capire che quando si ha un’eredità così importante come quella vicentina nell’oreficeria si deve semplicemente “scavare” e ridare lustro utilizzando tutte le tecniche di marketing e comunicazione possibili e immaginabili. E se voglio fare le cose con una dimensione adeguata ai tempi lo faccio con un grande angelo custode al fianco, ovvero Venezia e il Veneto intero. Solo così oggi si può competere. Quando mi presento a chi non mi conosce io dico infatti che sono del Veneto, di Venezia, la città dell’amore, della bellezza e dell’arte…
Vicenza di fatto è una piccola Venezia.”

Verissimo… Tutte le meraviglie palladiane sono opera delle grandi famiglie nobili veneziane che qui avevano le residenze in terraferma.

“Vicenza con Andrea Palladio ha rivoluzionato i canoni dell’architettura, ovvero la materia che ancora oggi è la più potente forma di attività umana, quella che influenza di più le persone e ne determina lo stile di vita. Abbiamo quindi tutti gli elementi per eccellere ancora oggi. Bisogna solo saperli leggere, capire, mettere assieme ed essere noi vicentini del 2020 quelli che lavorando con ardore lasceranno un segno indelebile di eccellenza per le generazioni future.”

Franco Pianegonda designer di gioielli nel suo atelier

Ma tornando alla tua storia professionale, come hai affrontato il passaggio da venditore a produttore di gioielli?

“Con grande naturalezza… dapprima qualche negozio che mi ha dato fiducia, per poi via via aprire delle vetrine monomarca Pianegonda. La prima a Firenze, la seconda a Verona, poi Milano, Padova, Parigi, Milano, Miami in un continuo susseguirsi di successi. Fino al 2008 circa, in cui ho visto alzarsi all’orizzonte le nubi di quell’uragano che avrebbe buttato giù tutte le frontiere e reso quasi impossibile per un singolo brand essere presente in maniera capillare ovunque. Di fatto si stava passando da una serie di “sacche” di clienti selezionati nel mondo, ad una platea orizzontale di 7 miliardi di persone. Da una parte un’opportunità teoricamente straordinaria. Dall’altra l’impossibilità di potersi rapportare con 7 miliardi di persone. La globalizzazione ci ha fatti diventare drasticamente tutti più piccoli. E più poveri.
Se io volessi, dico un esempio, acquisire notorietà immediata in una provincia, farei come Renzo Rosso che con alcuni milioni di euro si è comprato il Vicenza. Se invece volessi diventare famoso in Italia mi dovrei comprare la Juventus, e qui di milioni me servirebbero molti di più. Se poi volessi essere conosciuto globalmente, dovrei comprare la Formula 1 ed è facile comprendere che la potenza economica dovrebbe essere smisurata. Non a caso a questi livelli è materia ormai di pertinenza esclusiva di fondi di investimento internazionali spersonalizzati.
Per fare un altro esempio è stato come vedere Vicenza dall’elicottero e poi improvvisamente vederla dalla luna…. un puntino!
Per noi che avevamo mantenuto le radici operative e finanziarie nel territorio dove di punto in bianco è scricchiolato tutto il sistema economico-bancario è significato perdere la benzina nel momento in cui il motore avrebbe dovuto girare a mille.
E la barca si è fermata in mezzo al mare in balia delle onde sempre più impetuose ed inquietanti.”

La cantante Rihanna indossa un gioiello creato da Franco Pianegonda

Una metafora che rende l’idea… E come hai reagito?

“Dal 2013 mi sono rimesso lentamente in moto, con le dovute accortezze e differenze, cercando sopratutto di “capire”. Mai come oggi vale l’insegnamento di Socrate “so di non sapere”, una massima che ho inciso sul tavolo di studio dei miei figli. Più che produrre e vendere, oggi bisogna saper leggere il passato, interpretare il presente e immaginare il futuro.”

Lo stile di Franco Pianegonda in un nuovo gioiello

Alla luce di questa tua straordinaria esperienza che sembrerebbe articolata in più vite ma è concentrata in una sola, dove stai indirizzando il tuo talento? Il tuo obiettivo è rimasto quello di dare sempre emozioni alla donna o hai cambiato punto di vista?

“Bravo! Hai detto bene.. ci vorrebbero almeno 5 vite per vivere quello che ho vissuto finora io.
L’obiettivo per me è rimasto decisamente lo stesso, anzi sempre di più, ma lavorando con il massimo dell’artigianalità. Oggi il mercato è diviso in multinazionali che depredano il mercato. Un fenomeno che io definisco, con un pizzico di sana ironia, governato da produttori di gioielli “antigravità”, talmente leggeri da sembrare quasi carta velina. Prodotti pensati e realizzati per sembrare pesanti ma avere la minima quantità possibile di metallo prezioso. Per me il gioiello (e dicendomelo si toglie un grande anello facendolo cadere pesantemente sul tavolo NDR) deve invece essere innazitutto “importante”. Deve pesare. Deve comunicare preziosità in tutti i sensi. E farsi notare per la sua concretezza.”

Questo mi dà lo spunto per una domanda che mi sono fatto recentemente vedendo la pubblicità dei nuovi gioielli a marchio “Pianegonda” che sembrano essere diversi da quelli a cui tu avevi abituato i tuoi estimatori nel mondo.

“Oggi il brand Pianegonda è stato ceduto e quindi, non essendo più frutto della mia creatività, è normale che sia diverso. Chi sta portando avanti quel marchio probabilmente punta ad una platea di massa che ha aspettative ed esigenze ben diverse dal mio pubblico.”

In cosa stai riversando quindi la tua creatività?

“Accanto ai colossi del gioiello “antigravità”, ci sono poi realtà di nicchia, come la mia, che hanno quella che gli americani definiscono “unique proposition”, ovvero un motivo chiaro per stare sul mercato. Io mi riconosco in questo modello. L’attività è oggi infatti impostata sulla mia capacità personale di leggere le tendenze ed il gusto delle donne, interpretando un mix di fattori come il life style, la cultura, la moda, la raffinatezza, l’arte e la natura. Una filosofia mirata sulle nicchie di pubblico e quindi ben diversa da quella che punta alle masse con un prodotto di scarso valore intrinseco.
Oggi ogni consumatore oggi ha una sua precisa tribù in cui si riconosce e vuole prodotti pensati solo per lui. Non funziona più quindi il modello di una volta quando si proponevano più concetti di collezione sotto un solo ombrello.
Ci rivolgiamo ad esempio al pubblico femminile più giovane con la linea “PNG 68“, costuita da proposte pensate per essere sì custodibili nello “scrigno”, ma soprattutto per essere indossate. Una linea che parte da quel vento di rivoluzione nato proprio nel ’68 e che io mi porto sempre dietro.”

Il brand della linea PNG 68

“Poi c’è la linea “Franco Piane”, con gioielli più complessi ed elaborati per un target più consapevole ed evoluto, spesso arricchiti da oro e pietre preziose.”

Tre preziosi anelli della Collezione FrancoPiane

“C’è inoltre la linea “Je t’aime now“, pensata per consentire a chi vive l’amore o un sentimento importante, di segnare con un sigillo prezioso certi momenti particolari da non dimenticare mai, come un fidanzamento, un anniversario, un matrimonio, un battesimo ecc.
E infine c’è la linea “Character”, pensata questa volta per l’uomo. Io credo infatti che l’elemento più importante di un uomo non sia il portafoglio ma il carattere. E i miei gioielli per uomo puntano a valorizzare questo aspetto.”

Il brand della linea Character designed by Franco Pianegonda

“In tutto questo contesto la mia personale figura di stilista, gioielliere, artista assume una rilevanza facilmente intuibile e ne costituisce il punto di riferimento.”

Una curiosità, a proposto di fidanzamenti e amore. Tu che hai vissuto un’epoca del tuo settore, caratterizzata da principi almeno alle apparenze condolidati, come interpreti la “globalizzazione ” in termini di attitudini sessuali? Esistono ancora solamente la donna e l’uomo in termini di gioielleria? Stiamo vivendo un’epoca in cui un tuo gioiello pensato per una donna potrebbe piacere ad un uomo, magari più raffinato della media e viceversa un gioiello pensato per un uomo potrebbe essere indossato con orgoglio da una donna che non vuole apparire tale. Non trovi che la netta distinzione di una volta “uomo-donna” sia superata anche per il tuo settore, com’è avvenuto ormai da tempo nella moda?

“Ne discuto spesso anche con il mio team. La mia personale visione è ancora romantica e tradizionale, ma oggi credo che il concetto di uomo e donna vadano letti solo come tipo di sensibilità. Che può essere interscambiabile a seconda dell’individuo e delle sue scelte che rispetto con grande apertura.
Ti faccio un esempio.. nella linea “Character” c’è la catena sulla cui piastra aggiungo un tappeto di rose o di diamanti… Metto così assieme la parte forte con quella sensibile dell’uomo, perchè credo che questo sia il modo giusto di proporsi oggi, mediando gli estremi. Qualche secolo fa si sfidavano a duello… Qualche decennio fa gli uomini facevano a pugni. Oggi l’uomo deve essere capace di relazionarsi, specie con la donna, su un piano diverso da quello nuscolare. Analogamente, quando creo per la donna mi sintonizzo anche con la loro parte mascolina che è sempre presente.
Ma devo dire che questo l’ho sempre fatto, ben prima della recente rivoluzione sessuale.”

Franco Pianegonda nel backstage di un servizio fotografico di Steven Meisel

Dove si possono ammirare le tue nuove creazioni?

“Pur avendo avuto negozi e atelier in tutto il mondo, ho sempre voluto mantenere un legame “fisico” con il mio territorio, ed in particolare con il cuore storico di Vicenza, proprio per i motivi che ti ho spiegato.
Oggi ho aperto un nuovo atelier in Corso Palladio, dove accolgo con piacere amici e clienti per instaurare quello chè è l’elemento fondamentale del mio stile e del mio lavoro: conoscere le persone e il loro universo emozionale. Solo così ci si può sintonizzare sulle loro esigenze e creare gioielli che siano poi in grado di rappresentarli al meglio.”

Il nuovo atelier di Franco Pianegonda in Corso Palladio a Vicenza

Tu hai raggiunto tanti traguardi professionali di rilievo, che immagino vorrai replicare. Ma c’è qualcosa che senti che ti è mancato e che vuoi provare a raggiungere? Come dire, un calciatore vincente che però vuole anche il Pallone d’Oro. Un sogno nel cassetto?

“Mi reputo molto fortunato e sto vivendo un periodo positivo, non solo professionalmente. Il sogno è quello di fare sempre meglio quello che ho sempre fatto, trasformando quello che è a livello generale un periodo di involuzione in una vera opportunità. Ci sono ancora praterie da conquistare perchè a differenza della moda, dove i brand sono ormai pochi, globalizzati e incontrastabili, nella gioielleria è ancora possibile lasciare il segno. E io intendo lasciarlo.”

Bravo Franco! Tu puoi farlo!

Maurizio Sangineto (SANGY) con Franco Pianegonda, in Piazza dei Signori a Vicenza

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Maurizio Sangineto

Artista, Comunicatore, Naming Specialist. Ideatore di VICENZA.COM

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