
PAOLO LIMOLI, L’ARTISTA DELLA CARTA
Dopo una lunga esperienza come grafico e pubblicitario di successo, il vicentino Paolo Limoli si è inventato una nuova maniera per esprimere la sua creatività attraverso la carta: usarla in modo tridimensionale per farne autentiche opere d’arte. L’ho incontrato e vi racconto in esclusiva la sua affascinante storia.

Artista, Comunicatore, Naming Specialist.
Ideatore di VICENZA.COM
Ciao Paolo, io e te ci conosciamo da ragazzi, ma vorrei raccontare a chi non ti conosce la tua bella storia professionale e accompagnare i lettori di VICENZACOM alla scoperta del tuo mondo artistico. Raccontami dei tuoi inizi…
Gli inizi partono da lontano. Evidentemente devo aver ereditato dei talenti perché senza studi specifici ho iniziato a disegnare da bambino, poi ad appassionarmi alla musica imparando a suonare le tastiere all’età di 10 anni. Lo facevo spinto semplicemente dalla passione e dall’istinto, ma erano attività cui mi dedicavo più tempo possibile. In questo senso ero un bambino anomalo… preferivo disegnare e suonare invece che andare al parco a giocare a calcio. Non ero un “asociale”, non lo sono mai stato, ma avevo queste priorità nella mia testa. Ne sentivo il bisogno, il piacere e il “dovere”. Negli anni hanno continuato a farmi compagnia fino a quando non ho terminato il Liceo ed è a quel punto che sono rimaste semplici passioni. Non è difficile però immaginare, avendo questa sensibilità artistica, ed in particolare la capacità di disegnare, in quale settore io abbia potuto affacciarmi professionalmente.


Quindi mi stai dicendo che a 18 anni hai fatto una scelta di campo, tra le tue due grandi passioni e talenti giovanili. Il gesto grafico ha avuto il sopravvento, considerato anche che fare musica di professione a Vicenza non sarebbe stata una scelta in discesa… giusto?
Esatto. Anche se mi sono preso qualche bella soddisfazione, la musica è rimasta allo stadio di passione.

Il disegno invece mi ha aperto la strada verso la professione. Ho iniziato seguendo il classico consiglio che si dà ai giovani, ovvero di provare a proporsi bussando alla porta di chi la professione la svolgeva già con successo. Fu così che mi proposi come grafico alle agenzie di comunicazione e pubblicità vicentine, conoscendo in pochi mesi praticamente tutte le realtà locali. Fu una grande fortuna perché ebbi così modo di conoscere professionisti di assoluto rilievo. Uno di loro in particolare… Un mantovano importato a Vicenza dopo una lunga e prestigiosa carriera a Milano.
Scommetto che si trattava di Giancarlo Alesiani!

Esatto!
Straordinario professionista e splendida persona… Amico comune.
Si… lui è stato per me un amico, un padre e un grande maestro, anche in virtù dei sedici anni di differenza di età. Una persona diretta e limpida, per certi versi poco diplomatica, tant’è che quando ci siamo conosciuti mi disse: “Se vuoi lì c’è un tavolo per te. Ti insegno l’ABC. Qui c’è una libreria (NR per la cronaca una spettacolare collezione di libri sulla grafica e sul design). Non mi rompere le scatole. Però se ti comporti bene e prometti di stare zitto, ti porto ai servizi fotografici, in tipografia, magari anche a qualche riunione con i clienti così impari il lavoro. Se ti sta bene ti do un gettone di presenza di 50.000 lire al mese (NR l’equivalente di 50 € di oggi). Se non ti va bene quella è la porta”.
Me lo ricordo come fosse oggi. Parole testuali. Ed io, altrettanto direttamente ed istintivamente, gli risposi: “Giancarlo, se vuoi quei soldi te li do io, anche di più, se mi insegni. Io ho voglia di imparare.” E questo scambio di battute dirette ci conquistò a vicenda. Mi diede subito la chiave e lì rimasi per 8 anni. Aveva clienti di livello top, come Marzotto, COIN, Banca Cattolica del veneto (l’odierna Banca Intesa), BMW e altri del genere, per intenderci…
Due anni dopo, a vent’anni, avevo già la mia partita IVA, ero un libero professionista e lavoravo sia per lui che per altre agenzie di Vicenza.

È stata un’esperienza incredibile che mi ha consentito di conoscere il mondo della comunicazione, vicentino e nazionale, come meglio non sarebbe stato possibile. Ed è stata la maniera migliore per darmi la conferma che quella era la mia strada. Mi piaceva tutto di quel mondo. Mi sono appassionato alla fotografia, alla stampa, a tutte le tecniche di riproduzione, e poi anche alle discipline più complesse come il marketing, la comunicazione, la pubblicità…
Non ero più semplicemente un graphic designer. Come era lui del resto, che sapeva districarsi tra tutte queste discipline con agilità e confidenza. Ed inizio a collaborare anche con gli altri protagonisti della comunicazione vicentina, come Pino Rausa.
E questo mix di discipline è rimasto il mio lavoro per oltre quarant’anni.
Però, dato che iniziai quel mestiere in un’epoca in cui il computer non esisteva e si lavorava rigorosamente a mano, con la carta, mi è rimasta quella capacità di mantenere una “concretezza” ed una vicinanza fisica con i materiali, che poi mi è tornata molto utile.
Me lo ricordo bene… non c’era il computer e tantomeno tutti i software che oggi rendono molto più facile il mestiere togliendo di fatto al grafico la complessità realizzativa manuale che era la prassi in quel periodo. Quindi o eri bravo o… niente!
Esatto… Non c’era via di mezzo né spazio per l’improvvisazione. Se sbagliavi anche solo una virgola dovevi buttare via tutto e rifare il lavoro da capo. Come nella musica, se sbagliavi una nota durante la registrazione dovevi ripartire da capo. Oggi ci sono addirittura i correttori di intonazione e di ritmo…
Quindi quella è stata per me una grande scuola di disciplina, precisione e pazienza, oltre che di professione. E soprattutto di determinazione, perché quando devi mettere in gioco così tanto impegno, a volte per niente, ti viene voglia di mollare tutto.
Poi con l’avvento del computer, che io amo perché ritengo la tecnologia una straordinaria opportunità, ho capito che certi limiti venivano totalmente abbattuti e che non c’erano più limiti alla creatività, sia in termini economici che di difficoltà tecniche rispetto alla modalità manuale. Ho capito che potevo così “espandere” tutto quello che c’era nella mia mente. Quindi mi sono appassionato ed ho iniziato a lavorare moltissimo con la tecnologia.
Però negli anni ho sentito il bisogno di tornare alle origini.
Spiegaci meglio questo ritorno di fiamma.
Ad esempio, ho ricominciato dare maggiore spazio alla musica, sempre per passione, anche durante la mia permanenza all’estero. Per la cronaca ho vissuto 10 anni in Spagna e proprio qui ho realizzato, rigorosamente a mano, il mio primo “pezzo”, che ha dato il “la” al mio nuovo filone professionale. L’ho fatto per me, senza alcuna committenza, per il piacere di tornare a creare qualcosa manualmente.
Quando parli di “pezzo” intendi un’opera artistica quindi… Mi stai già anticipando della traslazione della tua competenza di grafico in un ambito artistico… giusto?
Esatto… La mia grande passione per la carta, l’elemento primario con cui mi sono confrontato professionalmente sin dagli esordi, affinata negli anni in cui si stampava molto, dai libri, ai cataloghi, ai depliant, mi ha sempre accompagnato anche quando la comunicazione si è fatta elettronica. Una materia che per lavorare dovevi conoscere in tutte le sue sfaccettature e potenzialità. La composizione della carta, la sua resa, le caratteristiche distintive, le tecniche di stampa, gli inchiostri ecc. Non era solo una questione “estetica”, ma di conoscenza e di rispetto.

Ne è derivata un’intensa attività relazionale anche con chi la carta la produceva, come Fedrigoni, tutt’ora tra i più importanti al mondo, o come Favini, azienda locale di Rossano Veneto, di cui ho usato moltissima carta fin dall’inizio facendo il grafico. In particolare, apprezzavo il modello “Bindakote”, una loro esclusiva. Una carta che ha più di cinquant’anni, prodotta da un’azienda con più di un secolo di storia. Radici profonde quindi che si sono legate alla mia storia professionale.
Ad un certo punto, proprio mentre ero in Spagna, ho sentito l’esigenza di usare la carta in chiave artistica. Purtroppo, vivendo lì, non avevo la possibilità di procurarmi quei materiali così evoluti, e mi dovevo accontentare di quel poco che trovavo lì nelle cartolerie.
Infatti in Spagna, per quanto ne so, manca la cultura della carta come la intendiamo noi in Italia…
Proprio così… c’è pochissimo, tant’è che anche in chiave professionale quando cercavo un certo tipo di carta per stampare lavori per i clienti, i fornitori non sapevano neanche di cosa parlassi. Per questo ad un certo punto ho deciso di fare intanto qualcosa per me, iniziando a sperimentare una nuova forma di espressione artistica attraverso la carta.
A me è sempre piaciuto l’effetto tridimensionale nella grafica e mi stuzzicava l’idea di poter aggiungere alla carta, da sempre usata solo come supporto per la stampa, una terza dimensione, lavorandola in un certo modo e nobilitandone la funzione.
Avevo intuito che potevo sviluppare delle cose molo divertenti e intriganti.
Qual era il primo soggetto di questa tua nuova dimensione artistica?
Era il 2005 e si trattava, con tutti i difetti che poi nel tempo ho imparato a correggere, di una prima “scultura” a forma di cascata. Una scatola che, aprendosi, dava origine ad una serie di livelli discendenti colorati, che davano appunto l’idea di una cascata. Un effetto ottico molto suggestivo.


Interessante… mi viene in mente un paragone ardito, ma che rende l’idea. Mi riferisco alla ricerca artistica di Lucio Fontana che con i suoi famosi “tagli” sulla tela è stato il primo pittore a dare una tridimensionalità al quadro. Il primo ad andare “oltre la tela” per cercare qualcosa di inesplorato. Tu, per certi versi, hai fatto un’operazione analoga, uscendo dallo schema abituale in cui la carta è sempre stata vista e usata come supporto bidimensionale per la stampa. Hai creato un livello superiore di utilizzo, visivo e concettuale, della carta.
Certo… lui era proprio uno dei miei artisti di riferimento. Quella prima opera, che avevo realizzato per me e per puro diletto, senza fini commerciali, mi aveva aperto gli occhi e la mente. In quel periodo frequentavo parecchi artisti spagnoli, alcuni di alto profilo, che invitavo per delle belle cene a base di cucina italiana. Successe che iniziai a ricevere da loro un sacco di complimenti per questa mia nuova dimensione artistica. Erano stupiti e ammirati e mi invitavano a continuare su questa strada. Devo dire che mi hanno stimolato molto, ma io sapevo che lì non potevo andare oltre per evidenti limiti nella materia prima stessa: la carta.
E così ho tenuto questa passione nel cassetto fino a quando non sono rientrato in Italia nel 2013.
Non è difficile immaginare qual è stata la prima visita che ho fatto. Immaginando di dare un seguito a quella mia prima intuizione artistica, mi sono preoccupato di procurarmi la materia prima, ovvero quella carta di qualità che avevo tanto desiderato. La prima visita che ho fatto è stata infatti a Favini.

Mi sono portato questo primo pezzo per fargli capire cosa avrei voluto fare con le loro carte speciali.
Quindi sei andato da un produttore di carta non più in qualità di grafico, bensì di “artista”…
Esatto, perché sapevo esattamente con quali delle loro carte io avrei voluto proseguire il percorso iniziato in modo sperimentale in Spagna. Ogni opera che avevo in mente necessitava infatti di una carta speciale, in grado di supportarne la struttura ed enfatizzarne la resa estetica.
La stessa cosa avviene infatti ad esempio per lo scultore che sceglie esattamente il tipo di marmo di cui ha bisogno, o il musicista che sceglie un determinato strumento per eseguire la sua composizione.
Loro non mi conoscevano, ma mi accolsero con grande disponibilità e cortesia, ascoltando attentamente la presentazione del mio progetto ed osservando con curiosità l’opera che mi ero portato dietro. Evidentemente il mio entusiasmo e l‘originalità della proposta fecero la loro parte perché il responsabile dell’azienda mi disse: “Ok Paolo, fammi la lista della “spesa” e da questo momento ti daremo tutte le carte che ti serviranno per sviluppare il tuo progetto.”
Bellissimo! Complimenti a te e alla loro apertura mentale. Non è facile per chi fa industria ed è abituato a determinati ambiti e rapporti professionali di fornitura.
Davvero… quando ricevetti le primi pacchi con quelle bellissime carte colorate mi sembrava di essere un bambino che apre i regali sotto l’albero di Natale… Preso da un entusiasmo fuori dal comune iniziai così a tuffarmi nella fase realizzativa di tutte quelle opere che avevo solo immaginato fino a quel momento. E così, all’inizio del 2016, mi sono ritrovato pronto per la mia prima mostra. Ad Arzignano, in una location bellissima: Atipografia.
Ne avevo sentito parlare e tra l’altro, visto che mi occupo per mestiere di nomi, non posso non cogliere lo straordinario nesso semantico tra le tue opere, basate sull’uso della carta, e questa location che era appunto una ex tipografia reinventata in chiave espositiva. Evidentemente c’è un DNA alla base. Location perfetta per il tuo progetto.

Infatti… pensa che lo spazio espositivo delle mie opere in quel contesto è stato proprio l’ex magazzino della carta di quando la tipografia era attiva. Tutte le mensole di legno originali che ospitavano le risme di carta sono state il supporto espositivo delle mie prime 14 opere.

Incredibile… Le opere erano letteralmente “a casa loro”…
E come hai vissuto questa esperienza? Ne hai tratto le prime indicazioni?
Certamente! Era un vero e proprio esame per me. Volevo capire se quello che avevo in mente era solo una mia infatuazione o avrebbe potuto trasformarsi una vera attività. Volevo proprio “tastare” il terreno. E mi serviva soprattutto la risposta più importante: quella del pubblico.
La ciliegina sulla torta fu che abbinai le opere alla musica, ovvero canzoni dei Genesis, tra i miei miti.
Mi dai lo spunto per ricordare un episodio che ci lega, proprio in chiave abbinamento grafica e musica. Il primissimo logo della mia attività me lo realizzasti tu, nei primi anni ’80…
Me lo ricordo bene… e la cosa bella è che quel logo fu disegnato rigorosamente a mano.
Quindi, riepilogando, la tua prima mostra è stata un connubio tra opere cartacee tridimensionali, abbinate ad una suggestione musicale.
Perfetto. E la formula è piaciuta perché, pensa, anziché durare tre settimane come previsto, su richiesta del pubblico la mostra è stata prorogata per più di due mesi. I visitatori sono stati più di cinquecento, anche provenienti dall’estero.


Ricevetti in quell’occasione incoraggiamenti e complimenti da parte di altri artisti di caratura internazionale. Ma l’elemento decisivo nel farmi acquisire la giusta consapevolezza fu la vendita di oltre metà delle opere esposte.
Questo è l’aspetto fondamentale che consente ad un artista di trasformare una passione in un mestiere. Il passaggio più delicato, spesso causa di delusioni.
Verissimo. Ed in questo senso la scintilla decisiva fu il fatto che l’opera più costosa venne acquistata, in una maniera indimenticabile, da una persona speciale. Era un signore novantenne, alto, elegantissimo e perfettamente in forma, un personaggio alla “Paul Newman” per intenderci Io non sapevo chi fosse. Dopo svariate visite, durante le quali mi intratteneva con argomenti interessantissimi, ma per nulla inerenti alla mia esposizione, mi disse: “Paolo, io vorrei acquistare quest’opera, se non l’hai già venduta. Ma a condizione che sia tu a portarmela e a collocarla nel giusto spazio a casa mia.
Caspita!
“Ok!”, dissi. E così scoprii, quando andai a casa sua, che era il presidente della Burgo, colosso mondiale della produzione di carta. Fornitore di aziende del calibro di Mc Donalds, per intenderci. Collezionista di prim’ordine, che più che una casa aveva una vera galleria d’arte, con opere di artisti del più elevato livello. Rimasi pietrificato. Non c’era uno spazio, nei saloni, nelle camere, nella cucina, nei bagni, che non fosse completamente riempito con opere d’arte straordinarie firmate da artisti di fama planetaria. Da Warhol, a Matisse, a Chagall, a Pomodoro e via di seguito. C’era tutto! Ma lui mi disse: “Scegli uno spazio”.
E, per giunta, mi chiese anche di dargli del tu…
Fantastico! Possiamo dirne il nome?
Guido Marchi. Nonostante mi fossi abituato in Spagna a dare del tu a tutti, con lui mi sentii un po’ in imbarazzo, soprattutto quando gli dissi timidamente che per poter posizionare fisicamente la mia opera avrei dovuto fargliene togliere un’altra… “E che problema c’è? Forza!” disse con tono deciso.
A quel punto gli indicai una parete ed uno spazio preciso. E lui tranquillo fece togliere un quadro di valore, per fare spazio al mio.
Credo che sia stata una bellissima soddisfazione.

Certo! Da allora capii che avevo individuato un percorso.
E quali sono stati i passi successivi? Hai fatto altre mostre o hai optato per lavorare dietro le quinte come fanno molti artisti oggi.
Si sono aperti scenari interessanti. Mi è stato chiesto ad esempio di creare dei multipli delle mie opere, con tecniche industriali. Ma è una strada che per il momento ho preferito non seguire, proprio per i discorsi fatti sulla manualità e sul suo fascino. Uno dei cardini delle mie opere consiste proprio nella loro unicità. Nascono da operazioni manuali di precisione, come il taglio, il posizionamento o l’incollaggio, che eseguo personalmente seguendo temi ispiratori. Può essere la Natura, la Musica, il Cinema, il Design…
E l’Amore ho visto anche…



Esatto. Infatti, il tema del cuore tridimensionale, creato con la carta, è uno dei miei cavalli di battaglia, protagonista delle diciotto mostre che ho fatto fino ad oggi, di cui ben quindici personali.



Le ho fatte a Vicenza, a Padova, a Trieste, fra le altre città, ma anche a Londra, grazie ad una bellissima amicizia con un gruppo di musicisti inglesi, i Big Big Train, con cui collaboro, in grafica e in musica. Ne fa parte Nick D’Virgilio, ex batterista dei Genesis.
Diciamo che questa commistione tra arte e musica è un po’ il tuo filo conduttore, personale e professionale.
Assolutamente. Anche se la musica è rimasta a livello di pura passione mentre l’arte con la carta è divenuta il mio mestiere, si tratta di due filoni che nella mia vita viaggiano sempre in parallelo. E credo che saranno queste le ultime due cose da cui mi separerò, un giorno spero lontano.
Sai che ti capisco… qui da me la musica c’è sempre, anche di notte e anche quando non ci sono. Crea onde positive che fanno bene anche ai muri. E la materia influenza le persone. Ma tornando a te… una curiosità… hai avuto una vita ricca di emozioni ed esperienze. Hai messo a fuoco la giusta attività per coniugare passione e lavoro. Ma qual è il tuo sogno nel cassetto?
Uh! Ne ho tanti! Per quello che riguarda l’arte, sogno un’esposizione internazionale di alto profilo, in una galleria importante. Magari negli Stati Uniti, dove si sta proprio muovendo qualcosa. E magari ricevere un riconoscimento artistico internazionale. Ecco, questo sarebbe la ciliegina sulla torta.



Ultima domanda, visto che sei ospite di VICENZA.COM, come vivi, da cittadino di un’altra parte del mondo oggi tornato nella sua città, Vicenza?
Io ho cominciato a scoprire e capire Vicenza allontanandomene. Ero forse un po’ assuefatto a questa città che ti fagocita nel suo modo di vivere “provinciale”. Non è una definizione necessariamente negativa, ma definisce uno status che rende spesso difficile varcare certi stereotipi, superare certi ostacoli culturali e certi limiti nell’apertura mentale dei suoi abitanti e soprattutto da parte di chi dovrebbe offrire opportunità. Situazioni che ho capito bene andandomene.
Quando mi trasferii in Spagna, il Comune di Vicenza mi chiamò per fare dei corsi per migliorare la comunicazione tra le persone che lavoravano all’interno dell’istituzione. Feci ben venti corsi, istruendo centinaia di persone. Fu un’esperienza bellissima, vissuta da pendolare tra Spagna e Vicenza. Usai quelle occasioni per far capire a chi gestiva la città in quegli anni, gestione Hullweck, che secondo me poteva fare qualcosa di importante per la città. Ma non perché lo dicessi io, ma perché era nelle corde della città poter fare qualcosa che andava oltre lo standard.
Quando poi tornai qui, praticamente da “turista”, cominciai ad osservare Vicenza con un’ottica diversa. Ho le mie radici qui. Sono nato a Valdagno. Ho trascorso a Vicenza la maggior parte della mia vita, tolta qualche parentesi a Genova, a Napoli, a Roma. Il mio giudizio è quindi obiettivo. Posso affermare che Vicenza offre degli spunti interessanti, soprattutto grazie alla sua storia meravigliosa. Un luogo che consente anche di rapportarsi alle persone con una certa facilità. Ci si conosce tutti. Provo affetto per Vicenza. Ma credo che Vicenza sia sostanzialmente una straordinaria “base d’appoggio”.
Una bellissima base da cui gettare “ponti verso l’esterno”.
Grazie Paolo! Ti auguro che questi ponti ti facciano arrivare dove ambisci e dove meriti.
Magari a Los Angeles 😉

