
ROBERTO FLOREANI: IL GRANDE ASTRATTISTA “RESISTENTE”
Il celebre artista torna a cimentarsi con la scrittura e lo fa con un nuovo saggio, a tre anni dal precedente Umberto Boccioni. Arte-Vita, finalista al prestigioso Premio Acqui Storia del 2018. L’ho intervistato per voi.

Artista, Comunicatore, Naming Specialist.
Ideatore di VICENZA.COM
Poche settimane fa hai presentato il tuo nuovo libro Astrazione come Resistenza in sala Palladio a Vicenza. Dopo Mondadori, pubblichi con De Piante, un nuovo editore che sembra avere idee chiare e alta progettualità. La collana I Talenti, inaugurata dal tuo nuovo saggio, così si presenta: Il coraggio di sorprendere.
Credo che un editore di prestigio come Mondadori, per molti versi rilevante anche come penetrazione commerciale, possa essere una conferma all’attendibilità propria ricerca, ma presenta dei limiti nel rispondere con rapidità alle sollecitazioni dall’esterno. De Piante ha tutta l’energia della novità, muovendosi con estrema agilità e offrendo, ad oggi, quattro collane tematiche che coprono esigenze differenti, ma tutte all’insegna dell’estrema qualità di contenuto. Sempre con la prossima iniziativa già nel cassetto. De Piante sta lanciando inoltre il progetto di Brand Activism Culturale, attivismo che rende la cultura operativa sul territorio, per contrastare l’appiattimento e l’omologazione del pensiero unico; intendendo la cultura in un modo più attivo che mi somiglia molto. La nuova collana che inauguro proporrà in seguito autori molto interessanti, caratterizzati dal desiderio di uscire dal convenzionale, con l’intento di costruire un modo diverso di avvicinarsi alla contemporaneità, evitando di adagiarsi nell’ovvietà del politicamente corretto.


Come hai vissuto la preparazione di Astrazione come Resistenza?
Il saggio dedicato a Boccioni già sapevo che mi sarebbe servito per calarmi poi nella materia più vicina alla mia ricerca pittorica, consapevole anche di quello che questo avrebbe comportato a livello teorico. Non dico che quest’ultimo saggio fosse già previsto, ma sicuramente realizzo oggi un progetto che tengo in serbo da molti anni e di cui il precedente è stato una felice anticipazione, con argomenti comuni ad entrambi.
Il saggio, con un corpus che sfiora le 400 pagine, contiene analisi storiche ma è anche di grande attualità: passi con facilità dalla complessità dei Movimenti del Novecento alla spiritualità, dalla filosofia al sociale; dal mercato dorato degli stilisti, alla riscoperta di artiste determinanti oscurate dalla storia, citando aneddoti insoliti e divertenti. Quando scrivi che l’opera d’arte può veicolare anche un messaggio di natura spirituale, lanci un messaggio importante
Lo sviluppo del testo è chiaro fin dall’indice, dove ogni singolo argomento è ben definito, pur essendo collegato agli altri: connessioni che si scoprono con la lettura. Effettivamente c’è un capitolo, il più esteso del saggio, dedicato proprio alla spiritualità, presente in pressoché tutti i grandi astrattisti, declinata nella Teosofia, nell’Antroposofia, nella Teologia cristiana e anche nella Cabala ebraica. Questo perché credo sia nella natura dell’uomo cercare un nome anche agli argomenti o alle sensazioni che superano la realtà quotidiana e l’Astrazione, in questo, ricopre un ruolo di assoluto rilievo.

Cosa intendi per ruolo sociale dell’artista? È un punto chiave…
L’artista penso debba intendere l’opera come un atto di responsabilità, un crinale che divide il tempo del prima da quello del poi, una testimonianza che l’artista lascia di sé allo scorrere del tempo.
Nell’opera l’artista non mente, mettendosi semplicemente al servizio del mercato come un artigiano, non asseconda la sirena che la cronaca comunica ogni giorno, ossessivamente, con il politicamente corretto. L’artista è il Ribelle di Jünger, l’Indocile di Baudrillard, l’Intempestivo di Nietzsche, l’Uomo differenziato di Evola, l’arte ha sempre guardato al non convenzionale, spesso precorrendo i tempi, risultando il più delle volte scomoda, corrosiva: oggi, in tempi di materialismo sfrenato, dov’è il prezzo a contare e non il valore di quel che si offre, si assiste ad un’improbabile, artificiale Avanguardia di consenso pilotata dai media e l’artista non può che promuovere una resistenza, auspicando maggiore attenzione all’aspetto interiore, alla qualità, all’autenticità, all’onestà intellettuale. L’Astrazione ha in sé gli anticorpi naturali per resistere, declinati sul versante della spiritualità.
Per l’uscita del libro sono già apparse importanti interviste: in una di queste, su Artribune, Stefano Piantini ti definisce “colto saggista… artista che studia” e posiziona il tuo saggio nel nobile solco degli scritti sull’arte elaborati dagli artisti stessi, per citare i grandissimi Boccioni e Malevič, Kandinskij, fino a Josef Albers, Dorfles, Peter Halley, Anselm Kiefer. Davide Brullo, su Pangea.it, ti cita come uno degli astrattisti di riferimento, il filosofo Luca Siniscalco ti attribuisce un’importante rilevanza teorica: ti aspettavi tale, significativa considerazione?
Fa naturalmente piacere veder riconosciuta la propria professionalità: è anche per questo motivo che poi l’opera dev’essere considerata come autentico atto di responsabilità per l’artista, evocando anche quella resistenza citata espressamente nel titolo del saggio, qualora la situazione generale stia prendendo un andamento del tutto privo di questo presupposto. Anche i grandi artisti di cui parli hanno scritto in periodi di grande difficoltà sociali ed economiche.

Vengono riscoperte anche tre artiste, oscurate dalla storia, rivelatesi seminali nello svolgersi del Novecento.
Metto in luce tre personalità, non certo per il vezzo di valorizzare autori sconosciuti, ma per la loro effettiva, rilevante importanza. Hilma af Klint, proto-astrattista d’inizi Novecento, intuisce prima ciò che Kandinskij, Klee e molti altri, raggiungeranno solo alcuni anni dopo. Hilla Rebay inventerà letteralmente la collezione Guggenheim e, di conseguenza, il mercato americano dell’arte, sarà l’artefice del primo museo d’arte contemporanea, ubicato in una ex-concessionaria d’auto a New York e, assecondata da una straordinaria visionarietà, aprirà il sodalizio con il grande architetto Frank Lloyd Wright, per la realizzazione del Guggenheim Museum che ammiriamo ancor oggi. Marianne von Werefkin, da pittrice e teosofa, con il suo salotto a Monaco negli anni ’10, contribuirà a forgiare la nuova generazione di fenomeni di quegli anni. Il tutto nel più assordante silenzio della storia.
Perché cimentarsi, tra gli altri argomenti trattati nel testo, nel racconto della storia dell’Astrazione?
È la mia storia. Jean Baudrillard, uno dei maggiori filosofi e pensatori del Novecento, già esegeta dell’opera di Andy Warhol e non certo un paladino dell’Astrazione, definisce l’Astrattismo come l’unica forma espressiva attendibile del contemporaneo, perché depositaria di una Storia eroica. Un’affermazione molto netta, che assume un significato particolare per chi la eserciti in Italia. Il nostro Paese può rivendicare infatti la rilevante primogenitura della stessa Astrazione con Giacomo Balla, fino ad oggi assegnata impropriamente a Vasilij Kandinskij. Questo non è aspetto marginale o che interessi solo gli addetti ai lavori: dalla data fondativa delle Compenetrazioni iridescenti di Balla del 1912, inizia infatti quella Via italiana all’Astrattismo che attraversa cent’anni, fino ad oggi, con decine di protagonisti di assoluto rilievo. Negli anni, fino ad oggi, in Italia, ogni tendenza in ambito astratto ha avuto necessità di laboriose contestualizzazioni, di complicate interpretazioni, che risultano quindi inutilmente faticose, visto che la scaturigine, in realtà risulta chiarissima.
Mi sembri molto coinvolto da questa contestualizzazione.
Certo, analizzarla nei dettagli ha sicuramente aggiunto chiarezza anche al mio lavoro, che da quella “famiglia” proviene: è stato un rimettere in ordine l’argenteria nella vetrina, dopo quarant’anni di attività.
Ma già nella tua personale alla Biennale di Venezia nel 2009 avevi rivendicato la tua appartenenza tematica astratta con decisione.
La mia ricerca pittorica è sempre stata accompagnata da dichiarazioni d’intenti: l’Astrattismo, di suo, ha sempre goduto, fin dagl’inizi, di un bacino estremamente affezionato, anche se forse più raccolto, più riflessivo. Ma anche per questa attitudine consapevole penso di essere rientrato nelle selezioni delle principali rassegne dedicate a quest’ambito, in questi decenni. Inoltre, in uno scenario internazionale come la Biennale, mi sembrava opportuno ribadire il significato della parola Astrazione, quando, da più parti, si sosteneva che non avesse più rilevanza. Quando tutto diventa confuso anche il messaggio più profondo diventa illeggibile.

In diverse parti del saggio, analizzi le motivazioni che portano l’artista a creare l’opera. L’ispirazione esiste?
Oggi penso sia un termine che appartiene più ad un retaggio romantico, che si fa fatica a citare. A dire il vero, ritengo che l’artista venga condotto alla finalizzazione del proprio pensiero nell’opera per ragioni che ignora, seguendo, ad ultima istanza, un’urgenza espressiva, una sorta d’inevitabilità. Per questa ragione anch’io penso che l’ispirazione non esista nei termini in cui viene proposta usualmente. Molti grandi artisti ne hanno negato l’esistenza, Francis Bacon, ad esempio, sostenendo che la motivazione non è il lampo improvviso e incontrollabile, ma lavora, a volte in modo sotterraneo, a volte esplosivo, 24 ore al giorno, in qualunque momento o situazione, spesso inconsciamente.
Paradossalmente, l’artista appartiene all’arte che esprime, come Boccioni aveva già dolorosamente chiarito, definendola, nei suoi Taccuini, come la Gran Madre.
Per questo motivo considero l’arte come autentica espressione salvifica, anche se spesso comprende conseguenze quali l’isolamento, la distanza, la difficoltà a renderla modalità di sostentamento, soprattutto in questo momento storico, votato all’effimero e al materiale. Considerazione che non riguarda solo me: nel saggio dimostro essere condivisa da larghissime, qualificate fasce del pensiero contemporaneo.
Anche se, ad ultima istanza, è anche l’alto prezzo da pagare che avvalora lo spessore esistenziale della ricerca.
Un’ultima annotazione sull’argomento di stretta attualità che riguarda la Crypto Art e i Bitcoin.
L’analisi è strettamente collegata ad un sistema, quello dell’arte, che nella sua parte più sfavillante e milionaria, che definisco Post-Arte, è strettamente collusa con la finanza, da cui ha mutuato le modalità operative, legate più ad una comunicazione planetaria asfissiante e ai meccanismi sofisticati delle Case d’Asta, che non all’effettiva qualità e portata storica delle opere che propone. Opere che, il più delle volte, con l’arte c’entrano solo in parte, appartenendo all’ambito della comunicazione globale, nell’ottica di quella spettacolarizzazione della società evocata dal filosofo Guy Debord, già nel 1967. Quindi è del tutto prevedibile che la finanza stessa prenda il sopravvento, creando un mercato parallelo e difficilmente controllabile dal basso: più operazione finanziaria finalizzata che sostegno reale dell’arte. Le cripto valute, la certificazione blockchain, di fatto un marchio da poter applicare ovunque, anche ad immagini del web a disposizione di miliardi di persone, stanno alla base di questo nuovo scenario.

Ma tutto questo non rappresenta una deriva che privilegia ulteriormente il prezzo sul valore? L’arte che conosciamo, frutto della sensibilità, dell’unicità, dell’originalità dell’artista, riuscirà a sopravvivere?
La cosiddetta “morte dell’arte” è già stata diagnosticata molte volte, in modi differenti, dalla discontinuità propugnata dalle Avanguardie Storiche, alla presentazione della celeberrima e dissacratoria Fontana di Marcel Duchamp nel lontanissimo 1917 (un orinatoio in ceramica reperibile in qualsiasi negozio, posizionato orizzontalmente, con firma di fantasia), fino al celeberrimo Sessantotto, dove esposero in Biennale un giovane Down, seduto su uno sgabello. Nel 2017 è stato già celebrato il centenario della Fontana, eppure decine di migliaia di artisti di tutto il mondo continuano a ritenere l’arte come espressione salvifica da preservare, tra una provocazione e l’altra. Siamo giunti al paradosso della Fine dell’arte contemporanea nel 2017, citata da Francesco Bonami, già uno dei suoi sostenitori più accaniti.
Vale ricordare ai più distratti che la prima operazione concettuale della storia rimane comunque un’opera pittorica astratta del 1915: il Quadrato nero del suprematista russo Kazimir Malevič, ad ulteriore dimostrazione della polivalenza e dell’assoluta rilevanza della ricerca astratta.
La Crypto Art rimane finanza mascherata, dove l’opera non è che il pretesto per nobilitare una mera, ingentissima circolazione di denaro, troppo spesso di derivazione sospetta.
Basta chiamare le cose con il loro vero nome, altrimenti ci si perde nell’indistinto, dove vale ogni cosa e il suo contrario.

A questo punto ti pongo un’altra domanda chiave. Qual è in definitiva, secondo te, il ruolo dell’Astrazione nel contemporaneo?
L’Astrazione gode dell’unicità della sua Storia eroica, procedendo alimentata da una velocità interna, appartata, votata intimamente allo spirituale, apparentemente silenziosa, ma inesorabile e magnifica, connaturata con l’interiorità stessa dell’uomo.
Grazie Roberto e complimenti non solo per questo saggio, ma per il tuo percorso di grande rilievo nell’Arte.


